LILIANA SEGRE,MA CHI SONO I FASCISTI
La senatrice a vita Liliana Segre, che nel secolo scorso scampò alla morte nel campo di
concentramento di Auschwitz, è diventata, ormai, la nuova icona di una sinistra vuota, radical
chic e senza idee, che addirittura scende in piazza, per manifestare pubblicamente il suo
appoggio e la sua vicinanza alla senatrice. Non solo: alla grande sceneggiata milanese di
martedì 10 dicembre 2019 vengono convocati anche i sindaci, che accorrono numerosi da
tutta Italia. Quelli vicini politicamente per non essere “bastonati” dai capipartito, quelli di
centrodestra per non essere tacciati di antisemitismo, razzismo e quant’altro. Risultato: radio,
tv, giornalini e giornaloni ci hanno raccontato di questa straordinaria manifestazione, con
primi cittadini di tutti i colori – e con la fascia tricolore addosso – per dire alla Segre “la tua
scorta siamo noi”. Come se non bastasse, si sono scomodati importanti editorialisti di regime,
per spiegarci che – nel Paese – qualcosa sta cambiando, perché scendono in piazza le “sardine”
e perché a Milano i sindaci hanno detto “no” agli odiatori di professione. Insomma, ci spiegano
questi professori da salotto sovietico, arrivano segnali importanti di un risveglio della
coscienza democratica della nostra povera Italia. Bene, noi riteniamo, invece, che “sardine” e
sindaci in piazza per la Segre siano due facce della stessa medaglia, che è esattamente opposta
al concetto di democrazia: sì, perché la democrazia è confronto, contrasto sulle idee,
esposizione di tesi diverse. Ossia il contrario di ciò che è avvenuto a Milano e di ciò che accade
con le “sardine”: non avendo argomenti, si sceglie di manifestare “contro” e, più precisamente,
“contro” la politica dell’odio, che, hanno precisato i pesciolini di piazza, è quella di Salvini. A
Milano, è vero, si è avuto il buon gusto di non citare Salvini, ma ogni parola pronunciata dai
sindaci alla radio e in tv e lo stesso breve, smielato discorso della Segre – che ha parlato di
amore, contro gli odiatori da tastiera – aveva un ben preciso avversario: il demone leghista.
Ecco, proprio la demonizzazione dell’avversario, che è il primo passo verso la ghettizzazione,
rappresenta una forma di razzismo, che in una democrazia avanzata dovrebbe essere
condannata da tutti. Media in primis. E, invece, i lacchè di professione contribuiscono
attivamente a cercare di indebolire l’immagine di Salvini – il vero nemico di Zingaretti, Di
Maio, Bersani e chi più ne ha più ne metta –, dipingendolo come un barbaro, un razzista, un
“mangiatore” di immigrati. Basterebbe dare uno sguardo ai Comuni a guida leghista, per
comprendere che l’integrazione degli extracomunitari, in quelle città, è molto più avanzata
rispetto, ad esempio, a Bari, Firenze o Palermo, guidate da campioni del centrosinistra.
Eppure, continuiamo a leggere e ad ascoltare che Salvini fomenta l’odio, che la sua “Bestia” (la
macchina mediatica messa in piedi dal leader leghista) origina notizie false, per alimentare la
paura dei cittadini e l’odio nei confronti degli immigrati.
E che lo stesso Salvini ha voluto leggi
barbare, come i due decreti-sicurezza, approvati quando lui era ministro dell’Interno. Tutto
falso, ovviamente. E non lo diciamo noi, ma gli stessi partiti che sostengono il governo Conte
bis, i quali – anziché cancellarle – hanno mantenuto le norme introdotte dai decreti sicurezza
di Salvini: in piazza demonizzano questi provvedimenti, nella stanze del potere li difendono,
perché sanno bene che non hanno un indirizzo razzista, ma di tutela del Paese, da una parte, e
degli stessi immigrati, dall’altra. Quello che emerge, con chiarezza, è dunque molto diverso da
ciò che vorrebbero farci credere i professoroni al servizio del regime: razzista non è chi vota
Salvini, ma chi cerca di mettere in un angolo la Lega e i suoi alleati, non sulla base delle idee e
del ragionamento, ma della demonizzazione. E per farlo utilizza tutti i mezzi: anche quello,
triste e vile, che prevede lo sfruttamento dell’immagine di una senatrice a vita scampata
all’inferno di Auschwitz. Ma Zingaretti, Sala e i loro compari agli elettori pagheranno anche
questo conto. Che, ne siamo convinti, sarà molto salato.Giovanni Coscia