I TIFOSI DELLA JUVENTUS HANNO RAGIONE,FRANCE FOOTBALL BOCCIA INESORABILMENTE ALLEGRI,FUORI DALLA CLASSIFICA DEGLI ALLENATORI

I tifosi della Juverntus hanno ragione.Allegri è scarso «France Football» ama fare classifiche sul calcio. Come Nick Hornby, come i tifosi al bar, come chiunque. Di una, il Pallone d’oro, ha fatto un’istituzione. Delle altre, un periodico argomento di discussione, come giusto che siano le classifiche. L’ultima è sicuramente la più rischiosa di tutte: i migliori 50 allenatori della storia. Molto dura, praticamente impossibile. FF la risolve così: sul podio Rinus Michels, Alex Ferguson e Arrigo Sacchi. Appena sotto Johan Cruyff e Pep Guardiola. A seguire in top ten Valeri Lobanovski, Helenio Herrerra, Carlo Ancelotti, Ernst Happel e Bill Shankly. E Mourinho? Solo 13°, dietro Matt Busby e Giovanni Trapattoni. Altri italiani? Marcello Lippi è 16°, Nereo Rocco 17° davanti a Louis Van Gaal 18°, Fabio Capello 21° dietro Bela Guttman 20° e davanti a Zinedine Zidane 22°. Antonio Conte è 49°, dietro a Marcelo Bielsa e davanti solo a Jean-Claude Saudeau, che vinse due titoli francesi con il Nantes negli anni 60.

Siamo d’accordo? Un po’ sì e un po’ no, ovvio. Succede con ogni classifica. In questo caso però c’è altro. Qui scorrere l’elenco provoca un certo mal di mare di cui non si coglie subito il motivo. I criteri annunciati da FF hanno un senso e sono coerentemente applicati: una combinazione di palmarès, eredità lasciata, personalità e durata della carriera. Eppure qualcosa continua a non quadrare. Per esempio: possibile che un gigante sottovalutato come Vicente Del Bosque sia solo 33°? Un’analoga classifica Uefa del 2017 (Sacchi, Helenio Herrera e Lobanovski sul podio, Michels quarto, Guardiola fuori dalla top ten) lo poneva a un (per noi) più pertinente 10° posto. E che dire di Herbert Chapman: vogliamo lasciare appena al 24° posto l’uomo che non solo inventò il Sistema, ma negli anni Venti introdusse il calcio nella modernità che conosciamo introducendo i riflettori per le notturne, il pallone a spicchi bianchi e neri, i numeri sulle maglie? Ovviamente neanche questo è il punto. Perché non sono le posizioni qui che generano il mal di mare, ma la confusione di senso che la classifica stessa provoca. 

Osserviamo un po’: Michels, calcio totale, l’Olanda bionda ed eterna, più bella che vincente. Ferguson, calcio tradizionale nel senso nobile del termine, ancorché con attimi sublimi, tre ricostruzioni ex novo e trofei a nastro. Sacchi: la sintesi suprema del calcio europeo con la maestria tattica italiana, per molti il più visionario di tutti. Cruyff e Guardiola, l’eredità di Michels riplasmata nella modernità. Lobanovski, colonnello scienziato, il calcio al computer e la preparazione atletica. Herrera, il contropiede come imbattibile arte del successo, la verticalità come dogma tattico e morale. Ancelotti, lo zen applicato al pallone, la multiforme abilità di riplasmarsi a seconda dei giocatori a disposizione. Eccetera eccetera. 

Si potrebbe andare avanti così fino al cinquantesimo. E poi il cinquecentesimo. E poi tutti i tecnici del mondo. E cosa emerge? La non confrontabilità, in assoluto, dei nostri personaggi. Perché, diversamente che dai calciatori, gli allenatori possiedono specificità tali da renderli unici e non classificabili, nemmeno per gioco. Preferire Michels a Ferguson ha lo stesso senso che preferire il movimento hippy alla rivoluzione industriale: cioè nessuno, a parte l’emozione o la coincidenza con il proprio vissuto che le loro storie e vittorie possono provocare in noi. Scegli Guardiola perché ami una certa poesia o Lobanovski perché sei un matematico? E poi siamo sicuri che non ci sia molta scienza nel tiki-taka così come una certa lirica delle linee nella Dinamo Kiev? E il pallone a spicchi di Chapman è una rivoluzione estetica o cinetica? E se fosse entrambe? Sarebbe come chiedersi se è meglio Platone o Wittgenstein, Niemeyer o Lloyd Wright, Proust o Chandler, Bach o Bruce Springsteen, Charlie Parker o i Queen, Lucio Battisti o Gilberto Gil. Generi diversi. Mele e pere, come ci dicevano da bambini. La risposta alla fine può essere solo sentimentale. Per questo indiscutibile, ma mai scientificamente falsificabile, dunque classificabile. 

Forse è una derivazione del famoso concetto: l’allenatore è un uomo solo. Nella sua solitudine c’è anche, sempre, una teoria unica, anche quando appartiene a una cosiddetta «scuola». Ecco, infine, il motivo del mal di mare. Nelle classifiche sui calciatori migliori di sempre, in fondo, crediamo di potere gestire quegli ostacoli ovvi come la distanza temporale, l’evoluzione del gioco, l’assenza, in molti casi, di documenti tecnologici a supporto (abbiamo più immagini di Abate che di Pelé, e anche questo sarà un tema da dibattere un giorno). Con gli allenatori c’è di più: sono l’ideologia che ogni tecnico porta con sé in panchina e l’ideologia che sposiamo noi «a priori» da tifosi o osservatori. Quante volte si è sentito dire «non sopporto il tiki taka»? A noi pare una bestemmia, ma può avere un fondatissimo senso. Non lo avrebbe mai invece: «Non sopporto i gol in rovesciata di Ronaldo». A meno che non l’abbiate appena subito. Ma questa è un’altra storia.


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