ALZHEIMER. IN ITALIA CENSITI 1.200.000 MALATI. RIDARE LORO LA DIGNITÀ DI PERSONE
In Italia sono 1.200.000 i malati di Alzheimer censiti in Italia (46,8 su scala mondiale) ci troviamo di fronte a una categoria sociale, in continua crescita, di pari passo col progressivo invecchiamento della popolazione, tanto che si stima una crescita del totale fino a 4 milioni entro vent’anni. Ma quel milione e duecentomila è composto di nomi, volti, storie. Persone. Preso così, il fenomeno della demenza cambia rilievo e diventa una questione di rispetto, di ascolto, di conoscenza. In una parola, di dignità. Un approccio che ha (deve avere) conseguenze ben precise. È il senso della riflessione che padre Carmine Arice, direttore dell’Ufficio Cei di Pastorale sanitaria e fresco superiore generale della Società dei sacerdoti di san Giuseppe Cottolengo, ha proposto ieri al Senato durante il convegno nazionale nella Giornata mondiale dell’Alzheimer. Considerazioni in linea con quanto va elaborando la Federazione italiana, e non è una coincidenza priva di significato. Il punto sul quale convergono persone direttamente coinvolte e pastorale sanitaria è quello che Arice fotografa con queste parole: «Considerare la cura degli anziani con demenza oggi significa vigilare perché la cultura dello scarto, tante volte denunciata da Papa Francesco, non li aggredisca». E se su questo punto critico si può trovare ampio consenso, Arice invita a vigilare: perché oggi dentro i concetti decisivi di «dignità» e «persona» si corre «il pericolo di intendere cose diverse pur usando la stessa terminologia». Per capirsi: «Se tutti indistintamente sono d’accordo nel riconoscere l’obbligo morale di rispettare la persona, non tutti sono ugualmente d’accordo a chi si debba attribuire la qualità di persona e garantirne quindi il rispetto e l’inviolabilità». Infatti secondo «non pochi autori» sarebbero «persone solo quegli esseri che hanno in atto l’autocoscienza e la razionalità». È certo che «non si può ridurre il concetto di persona né all’autocoscienza psicologica né alla sua capacità di libero arbitrio, né tanto meno dedurlo dalle sue prestazioni». Se così fosse, è facile immaginare in tempi di tagli al bilancio sanitario cosa ne sarebbe di quel milione e duecentomila. Non resta che ri-proporre un’idea forte di persona, guardandosi attorno per capire se viene ancora compresa come deve (almeno avendo presenti le conseguenze se non fosse condivisa): «La dignità piena, inalienabile e non graduabile di ogni essere umano, ossia il valore che ogni uomo possiede per il semplice fatto di esser uomo e di esistere – chiarisce Arice a scienziati, medici, politici e persone impegnate nelle associazioni – è ciò che lo qualifica come persona, individuo unico e irripetibile. Il valore dell’esistenza individuale è l’autentico fondamento della dignità umana». Ribadito il principio, vale la pena tracciare un punto fermo: «La dignità umana non va data ma riconosciuta» perché «è un valore intrinseco assoluto che nulla e nessuno può togliere, e nulla e nessuno può misurare». Detto questo, conclude il direttore dell’Ufficio Cei, «sarà la qualità della relazione e della nostra cura delle persone anziane l’occasione per dire loro che la dignità del loro esserci precede come loro sono». (Francesco Ognibene – Avvenire)